Il sig. CF, di anni 64, nel mese di settembre 2002 cadeva accidentalmente presso il proprio domicilio e veniva condotto tramite autolettiga al P/S dell’Ospedale cittadino dove si evidenziava una “sospetta frattura ingranata del collo femore sx da verificare con esame TAC”.
L’esame confermava la frattura del collo femorale sx sottocapitata ed il paziente veniva ricoverato nel reparto di Ortopedia per essere sottoposto ad intervento chirurgico.
Erano compiuti gli accertamenti diagnostici e clinici propedeutici all’intervento e, in particolare, visite cardiologiche e diabetologiche ed esame TAC cerebrale da cui risultava: “non alterazioni densiometriche a carico del parenchima encefalico”.
Emergeva dunque un quadro clinico di persona sostanzialmente sana.
La visita anestesiologica preoperatoria rilevava: “discrete condizioni cliniche ed esami ematologici nella norma” ed esprimeva un rischio operatorio aumentato per la presenza delle patologie riscontrate: ipertensione, diabete mellito in soggetto già operato per papilloma vescicale.
Ciononostante il paziente era sottoposto ad intervento chirurgico di artoprotesi all’anca sinistra a distanza di ben 10 giorni dalla frattura al femore.
Veniva successivamente trasferito presso una Residenza Sanitaria Assistenziale (RSA, ove l’assistenza sanitaria non copriva tutte le 24 ore) al cui ingresso l’esame obiettivo rilevava “condizioni generali del paziente scadute”.
CF risultava scarsamente orientato nel tempo e nello spazio ed era riscontrata una grossa escara necrotica in regione sacrale e in sede calcaneare sinistra.
Veniva così impostata terapia farmacologica e prescritta medicazione giornaliera delle lesioni da decubito.
Dopo soli 5 giorni di degenza il paziente entrava in coma alla sola presenza della moglie che allertava il medico curante il quale accorreva e decideva per il trasferimento d’urgenza in ospedale.
Il paziente veniva conseguentemente ricoverato in Rianimazione per stato di coma 4 GSC, sepsi alle vie urinarie, insufficienza multiorgano (M.O.F.), diabete mellito tipo 2.
Veniva effettuata TAC cranica: “Modesti diffusi segni di edema. Marcati segni di atrofia cerebrale”, diversamente alla TAC cerebrale precedente all’intervento.
Nonostante il repentino aggravamento delle condizioni di salute del paziente, lo stesso veniva ritenuto dai sanitari “in condizioni generali discrete” e trasferito nel Reparto Medicina dove veniva visitato dal medico che inspiegabilmente ne autorizzava la dimissione.
Dopo poco tempo il medico curante di CF lo inviava nuovamente presso la RSA con diagnosi di “sepsi da infezione urinaria, insufficienza multi organo, diabete mellito tipo II, lesioni da decubito necrotiche in regione sacrale da medicare quotidianamente”.
Dalla RSA il paziente veniva condotto presso l’ambulatorio ortopedico dell’Ospedale per rimozione dei punti di sutura all’anca sinistra e controllo clinico e radiografico che accertava una lussazione della protesi, specificando che non era possibile stabilire a quando risaliva.
Si provvedeva, quindi, alla riduzione chirurgica della lussazione.
Seguiva altro esame RX che evidenziava una recidiva della lussazione anch’essa ricomposta chirurgicamente.
il paziente veniva quindi dimesso dall’Ospedale e nuovamente condotto (per la terza volta) presso la RSA.
Durante la degenza erano segnalati gravi sintomi di disidratazione curata con terapia infusionale, nonché lesione da decubito in regione lombare dovuta a contatto con il corsetto gessato.
CF manifestava un importante peggioramento delle proprie condizioni generali ed era così trasferito dalla Casa di Cura all’Ospedale con diagnosi di “sospetta osteomielite in sede di protesizzazione anca sx”.
All’ingresso del reparto di Ortopedia veniva altresì riscontrato:
- decubito infetto in sede troncaterica;
- sepsi secondaria di protesi d’anca;
- grave stato di defedazione (ipoproteinemia ed anemia);
- piaghe da decubito multiple (dorso, sacro, calcagno).
In corrispondenza della protesi veniva rilevata anche un’infezione da germi multiresistenti pseudonmonas aeruginosa e strafilococco mannite positiva, ma la protesi non veniva rimossa, né l’infezione bonificata ed al paziente veniva somministrata esclusivamente terapia antibiotica.
Pochi giorni dopo era anche rilevata una fistola della ferita chirurgica con fuoriuscita di materiale simi purulento, dal cui tampone era isolato Enteroccocus faecalis e ancora una volta Pseudomonas aeruginosa.
Nelle successive 48 ore il paziente decedeva per arresto cardio circolatorio a causa di una “insufficienza multiorgano (M.O.F.) conseguente a stato settico”.
Dopo solo 7 mesi dal decesso purtroppo si spegnava anche la moglie, all’età di 63 anni, caduta in forte stato depressivo per il dolore interminabile causato dall’avere assistito impotente al decadimento ed alla morte del marito.
I figli del signor CF chiedevano quindi l’assistenza e il patrocinio del nostro Studio Legale sottoponendoci il caso e la storia clinica sopra descritta.
Tutta la documentazione medica veniva acquisita dal nostro Studio e sottoposta ai suoi Consulenti che svolgevano una perizia medico legale dalla quale emergeva la responsabilità della struttura sanitaria e dei medici.
Si decideva quindi di proporre Accertamento Tecnico Preventivo (ATP) ante causam ex art. 696 bis c.p.c.
Istruito il procedimento, il Tribunale competente disponeva Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) che evidenziava come “i sanitari, gravati dall’obbligo di protezione nei confronti del paziente, omettevano di prevenire e curare adeguatamente (pertanto determinavano) le lussazioni, lo stato di defedazione, l'insorgenza della setticemia e il decesso del paziente. Nel caso di specie, le condizioni ambientali e i fattori naturali antecedenti al ricovero (diabete mellito, papilloma vescicale) non sono idonei a valere come causa esclusiva delle lesioni e del decesso senza il concreto apporto umano. Esse inoltre non sono cause sopravvenute e dovevano essere prevenute. Invece, lo stesso verificarsi delle lussazioni e l’insorgere delle piaghe da decubito e poi dello stato settico generale, costituiscono quelle “qualificate inadempienze” idonee a porsi come causa o concausa della lesione e del conseguente decesso.
Tali elementi sono stati allegati dai ricorrenti in giudizio con relativa produzione documentale, e quindi, doveva imporsi l'onere del resistente (Ospedale) di dimostrare o che nessun rimprovero di scarsa diligenza o d’imperizia poteva essergli mosso, o che, pur essendovi stato un loro inesatto adempimento, questo non aveva avuto alcuna incidenza eziologica nella produzione del danno (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 577/2008).
Allo stesso modo l’Ospedale ometteva la prova di essersi munita di protocolli sanitari per la cura delle infezioni e di averli rispettati.
Pare dunque verosimile che l’opera dei sanitari, se correttamente e tempestivamente intervenuta, avrebbe avuto ragionevoli possibilità di successo, tali che la vita del paziente sarebbe stata con una certa probabilità salvata, e che un corretto approccio sanitario al caso clinico avrebbe evitato l’insorgere delle lesioni e l’esito infausto”.
Viste le risultanze dell’Accertamento Tecnico Preventivo, il nostro Studio Legale ha ottenuto un accordo transattivo che si è concluso in maniera positiva e soddisfacente con il riconoscimento a favore degli eredi del sig. CF della somma di euro 460.000,00